Un argomento ormai noto a tutti gli specialisti del settore regolamentare (e non solo) è l'importanza che il fattore ESG riveste (e sempre più rivestirà) nelle politiche di investimento delle società, ma quali sono le criticità per una sua corretta implementazione?

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October.06.2022

1) Una introduzione - Stato dell’arte e normativa europea

L’inclusione di fattori ESG (ambiente, sociale, governance) nei processi aziendali e nelle decisioni imprenditoriali presenti, anche, nel settore finanziario, è ad oggi una tematica cui gli investitori pongono sempre maggior attenzione. In forza degli articoli 3 e 21 del TUE, l’Unione Europea svolge un ruolo particolarmente attivo ed incisivo nella regolamentazione del settore. In attuazione del Piano d’Azione per Finanziare la crescita sostenibile (“SFAP”) del 2018, sono stati adottati numerosi provvedimenti volti ad includere la sostenibilità come criterio guida per indirizzare gradualmente l’economia e la società europea verso un futuro sostenibile, con l’imprescindibile supporto del sistema finanziario.

A livello europeo, in base alle stime di Morningstar[1] i fondi sostenibili hanno chiuso il primo trimestre del 2021 con una raccolta netta di 120 miliardi di euro, in crescita del 18% rispetto al trimestre precedente. Tale raccolta rappresenta ben il 51% di tutti gli afflussi registrati nel settore. A fine marzo 2021, i fondi sostenibili gestivano 1,3 trilioni di euro, dopo aver superato la soglia dei mille miliardi nel 2020. Non solo, sempre secondo l’analisi di Morningstar, un fondo su quattro in Europa è ESG. Sebbene lo scoppio del conflitto tra Russia ed Ucraina abbia comportato una diminuzione del 35% nell’emissione di titoli ESG nel primo trimestre 2022 rispetto all'ultimo del 2021, ciononostante trattasi di un settore in forte espansione principalmente mosso dalla sensibilità degli investitori. A conferma di ciò, ad oggi il listino green e/o social dei mercati Fixed Income di Borsa Italiana ospita 225 strumenti per un controvalore in negoziazione di oltre €300 miliardi. Tra questi:

  • le obbligazioni green costituiscono il 60% del totale emesso;
  • i bond sostenibili (ossia legate al finanziamento di progetti o attività con impatti positivi sotto il profilo sia ambientale sia sociale) sono pari al 26% del totale;
  • le emissioni social (ossia finalizzate a finanziare progetti a impatto sociale positivo) rappresentano il 14% del totale.

Come anticipato, la rilevanza di questo mercato e degli interessi che lo stesso intende tutelare, ha spinto l’Unione Europea ad adottare disposizioni che concorrono a creare la cornice europea in materia di inclusione di fattori ESG nei processi aziendali e nelle scelte finanziarie, tra le quali assumono particolare rilievo:

  • Regolamento Taxonomy - Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento Europeo e del Consiglio grazie al quale è ora possibile distinguere tra attività economiche ecosostenibili e altre attività economiche, attraverso un approccio quantitativo delineato dai Technical screening criteria elaborati dalla Commissione attraverso il Regolamento Delegato (UE) 2021/2139.

    Gli obiettivi ambientali individuati dal Regolamento Taxonomy sono: a) mitigazione dei cambiamenti climatici; b) adattamento ai cambiamenti climatici; c) uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine; d) transizione verso un’economia circolare; e) prevenzione e riduzione dell’inquinamento; f) protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

  • Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) - Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari.
  • Regolamento c.d. Benchmark Regulation - Regolamento (UE) 2019/2089 del Parlamento Europeo e del Consiglio che stabilisce gli indici di riferimento UE di transizione climatica, gli indici di riferimento UE allineati con l’accordo di Parigi e le comunicazioni relative alla sostenibilità per gli indici di riferimento.
  • Regolamento Delegato 2021/1255 In particolare, con riguardo alle responsabilità e alle funzioni dell’organo di gestione e dell’alta dirigenza dei fondi di investimento, prevede che quest’ultima sia responsabile dell’integrazione dei rischi di sostenibilità nella politica generale di investimento dei fondi, nelle strategie di investimento, nelle politiche e procedure di valutazione, nel controllo della conformità, nelle politiche di gestione del rischio e nelle politiche di remunerazione.
  • Direttiva Delegata 2021/1270 - per quanto riguarda i requisiti organizzativi, i conflitti di interesse, le regole di condotta, la gestione del rischio e il contenuto dell’accordo tra il depositario e la società di gestione.
  • Proposta di Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive - CSRD), che richiederà alle imprese europee, incluse le PMI quotate, di divulgare una serie di informazioni su rischi e impatti relativi ai temi ESG. Tra le principali novità, l’ampliamento del perimetro di applicazione. La nuova Direttiva, infatti, si applicherebbe a tutte le imprese di grandi dimensioni, sia quotate che non, con più di 250 dipendenti (contro la soglia dei 500 dipendenti attualmente prevista dalla NFRD) e tutte le PMI quotate nei mercati europei (a eccezione delle microimprese). Secondo le stime diffuse dalla Commissione UE, a seguito dell’entrata in vigore della CSRD, le imprese con l’onere di redigere la rendicontazione di sostenibilità incrementerebbero da 11.000 a quasi 50.000[2].

2) Possibili criticità per le imprese – una panoramica

Addentrandoci più specificamente nell’argomento di questa breve newsletter, possiamo dire che, in generale, la svolta sostenibile comporta il ripensamento dell’intero sistema industriale ed economico in chiave circolare. Come emerge dal censimento permanente ISTAT[3] sulle imprese con almeno 3 addetti, in Italia sarebbero più di 8 su 10 (quasi 836mila) quelle che hanno adottato almeno un’azione di sostenibilità ambientale, sociale e/o di sicurezza, a conferma del positivo recepimento delle questioni ESG da parte del tessuto imprenditoriale. Le misure più frequentemente adottate risultano quelle:

  • per migliorare il benessere lavorativo dei dipendenti (69%);
  • per ridurre l’impatto ambientale della propria attività (67%);
  • per incrementare i livelli di sicurezza interni ed esterni all’azienda (65%).

Meno adottate invece le azioni che riguardano la parte più sociale della sostenibilità e volte a sostenere e realizzare iniziative di interesse collettivo (31% delle imprese) e quelle a beneficio del tessuto produttivo del territorio in cui opera l’impresa (29%).

Nonostante l’azione unionale e l’atteggiamento positivo da parte dell’imprenditoria, molti ancora rimangono i punti aperti e le problematiche che le imprese, soprattutto di minori dimensioni, si trovano ad affrontare nell’obiettivo di essere compliant con la regolamentazione. Tra le principali difficoltà delle imprese si segnalano:

  • L’assenza e/o la carenza di dati attendibili in materia di sostenibilità – la difficoltà pratica maggiore è dovuta al fatto che mentre i gestori di fondi (così come gli altri intermediari finanziari) sono già assoggettati agli obblighi di reporting, lo stesso non può dirsi rispetto agli emittenti (tenuti a pubblicare informazioni sull’allineamento con i requisiti del Regolamento Taxonomy a partire dal 1 gennaio 2023 in relazione all’anno fiscale 2023) le cui azioni e obbligazioni formano il portafoglio dei fondi di investimento. Tale situazione è ancora più complessa qualora i fondi gestiti investano in strumenti finanziari di emittenti di paesi terzi i quali non sono soggetti agli obblighi di reporting contenuti nella disciplina europea.

    In relazione al deficit informativo si segnalano i dati riportati da Assogestioni (analisi del 30 settembre 2021) in merito al mercato italiano, circa le imprese che hanno fornito la dichiarazione sui Principal Adverse Impact (“PAI”) ai sensi dell’art. 4 SFDRDall’analisi risulta che oltre il 68% (41 gruppi su 60) ha pubblicato la dichiarazione PAI secondo gli obblighi di legge o su base volontaria. Il restante 32% (19 gruppi su 60) ha adottato invece un approccio explain. La quasi totalità di coloro che hanno scelto di posticipare la pubblicazione delle informazioni sui principali impatti negativi delle politiche d’investimento sui fattori di sostenibilità (15 su 19) motiva tale decisione con la difficoltà di reperire dati sufficienti, prontamente disponibili e affidabili, anche facendo ricorso ad analisti e fornitori terzi. Un’altra motivazione citata è la persistente incertezza del quadro normativo, in attesa della definizione di indicatori e metriche puntuali.

  • carenza di risorse umane con competenze in tema di sostenibilità nel contesto degli investimenti – problema che assume rilevanza significativa per i gestori di fondi di piccola e media dimensione i quali hanno evidentemente minor capacità di attrarre risorse umane altamente qualificate. Vige infatti l’obbligo per i gestori di fondi di dotarsi di personale con specifiche competenze ESG. Regna incertezza sulla possibilità per il gestore di fondi di adempiere ai nuovi obblighi attraverso la delega di funzioni all’esterno dell’organizzazione. E in relazione a ciò, è incerto se il coinvolgimento di consulenti esterni esperti in materia di sostenibilità costituisca una delega di funzioni.
  • distinzione tra fondi ex art. 8 SFDR, fondi ex art. 9 SFDR e altri fondi e cioè tra i c.d. light green products (ex art. 8 SFDR) ed i c.d. dark green products (ex art. 9 SFDR). La poco chiara distinzione dei criteri che qualifichino un prodotto finanziario come l’uno o l’altra è fautrice di fenomeni di greenwashing a causa del fatto che la promozione di caratteristiche ambientali e/o sociali prevista ex art. 8 è una caratteristica che rischia di risultare come un contenitore vuoto. L’analisi dei fondi art. 8 sulla base del Morningstar Sustainability rating – indicatore del rischio ESG in portafoglio – rivela che quelli con il giudizio più alto, ossia quelli con rischi ESG inferiori, sono il 56% contro circa il 75% degli articoli 9. La percentuale è comunque superiore a quella dell’universo complessivo dei fondi europei (32,5%)[4].

  • Operatività Cross-border – l’adozione a livello nazionale di linee guida e discipline può comportare delle divergenze tali da rendere più gravosa l’operatività di quei gestori che offrono i loro fondi su base transfrontaliera. Un maggiore allineamento tra le diverse legislazioni è necessario anche perchè l'ambito dei prodotti finanziari definiti dall'SFDR non è coerente con quello definito dal testo della MiFID II. Le misure SFDR di secondo livello, infatti, utilizzano la definizione di "strumenti finanziari" stabilita dalla MiFID II (e non quella di "prodotti finanziari" ai sensi della SFDR); tale disallineamento può causare problemi quando i partecipanti al mercato finanziario rispondono alle preferenze ESG di investitori e clienti con riferimento a strumenti finanziari ai sensi della MiFID II che non rientrano nell'ambito della definizione di prodotti finanziari ai sensi della SFDR.

Conclusioni

A seguito del SFAP l’UE ha adottato una serie di strumenti regolamentari volta a creare una cornice normativa al processo di transizione verso un’economia sostenibile. Nonostante un’importante fuga di investimenti nei primi mesi del 2022, dovuta principalmente al conflitto tra Russia ed Ucraina, il settore degli investimenti ESG rappresenta un modello virtuoso, apprezzato dagli investitori e con ampi margini di crescita. Appare ragionevole affermare che sullo scenario internazionale, l’Europa ha un primato indiscusso in termine di flussi di capitale e prodotti ESG. Anche in Italia i nuovi obblighi della disciplina europea sono stati accolti con favore dall’imprenditoria, dimostrando ampia adesione e che l’emissione di prodotti green può svolgere un ruolo importante nel tessuto della piccolo-media imprenditoria. Tuttavia, la rapida e frammentaria regolamentazione europea presenta ancora dubbi e difficoltà interpretative e di coordinamento tali per cui le imprese possono trovarsi ad affrontare diverse problematiche. In particolare, le principali criticità sono dovute all’insufficienza, quantitativa e qualitativa, di dati in materia di sostenibilità, a fronte della rilevante mole di informazioni che devono essere comunicate. Ancora, la necessità di apprestare risorse con adeguate competenze in un settore così giovane, comporta la momentanea assenza del personale specializzato sufficiente. L’applicazione della gold plating rule può comportare significativi svantaggi per le imprese che operano a livello transnazionale. Vale la pena, infine, mantenere alta la guardia sul fenomeno del greenwashing, ripartendo auspicabilmente da una migliore classificazione di fondi e prodotti.



[1] Morningstar, SFDR Article 8 and Article 9 Funds: 2021 in Review

[2] Gli investimenti sostenibili in Italia, tendenze e prospettive di mercato, pg. 7 https://www.anasf.it/documento/3885

[4] Morningstar, SFDR Article 8 and Article 9 Funds: 2021 in Review