July.24.2020
In data 14 luglio 2020, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 (di seguito, il “Decreto”).
Con il Decreto, che entrerà in vigore il 30 luglio 2020, viene data attuazione alla Direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (la “Direttiva PIF”), la cui ratio è quella di “proseguire nel ravvicinamento del diritto penale degli Stati membri completando, per i tipi di condotte fraudolente più gravi in tale settore, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione ai sensi del diritto amministrativo e del diritto civile […]”[1].
Il Decreto introduce alcune rilevanti novità in materia di responsabilità amministrativa degli enti, intervenendo sia direttamente sia indirettamente sulla disciplina di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (il “Decreto 231”)[2].
In particolare, gli interventi diretti sul testo del Decreto 231 sono i seguenti:
Articolo del Decreto 231 oggetto della modifica |
Modifica |
24 |
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25 |
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25-quinquiesdecies |
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25-sexiesdecies |
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Oltre alle modifiche dirette sul testo del Decreto 231, il Decreto, come visto supra, apporta anche modifiche indirette alla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, intervenendo sulla disciplina dei seguenti reati presupposto:
Infine, il Decreto introduce un’ulteriore novità di rilievo ai fini della disciplina di cui al Decreto 231, prevedendo la rilevanza del tentativo nei reati tributari di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, “quando gli atti diretti a commettere i [predetti] delitti sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro”.
Alla luce di quanto sopra, sarà opportuno che gli enti effettuino un’analisi dell’operatività aziendale volta a identificare gli eventuali rischi relativi agli ambiti oggetto del citato intervento normativo, al fine di individuare i presìdi da implementare per far sì che i modelli di organizzazione e gestione ex Decreto 231 (i “Modelli”) siano puntualmente e adeguatamente aggiornati.
Ricapitolando i temi di maggiore rilevanza relativi alle novità di cui al Decreto, su cui soprattutto dovrà concentrarsi l’attività di aggiornamento dei Modelli, si evidenziano:
Restiamo a disposizione per qualsiasi chiarimento o approfondimento in merito all’oggetto.
[1] Così recita il Considerando n. 3 della Direttiva PIF. Si ricorda, peraltro, che la Direttiva PIF è strettamente collegata alla disciplina dettata dal Regolamento (UE) 217/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea (“EPPO”). In particolare, ai sensi degli artt. 4 e 22 del citato Regolamento, “l’EPPO è competente per individuare, perseguire e portare a giudizio gli autori dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione previsti dalla [Direttiva PIF] e stabiliti dal presente regolamento e loro complici” e “l’EPPO è competente per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di cui alla [Direttiva PIF], quale attuata dal diritto nazionale, indipendentemente dall’eventualità che la stessa condotta criminosa possa essere qualificata come un altro tipo di reato ai sensi del diritto nazionale”.
[2] In tal modo il Decreto ha dato attuazione a quanto previsto dall’art. 6 della Direttiva PIF, che obbliga i legislatori nazionali ad adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche siano ritenute responsabili dei reati in materia di frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione Europea commessi nell’ambito dell’attività da queste prestata.
[3] Si segnala, peraltro, che la disciplina del reato di abuso di ufficio è stata modificata dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, pubblicato in G.U. in pari data: in virtù della modifica in parola, ai fini dell’integrazione della fattispecie, rilevano ora non più le violazioni “di norme di legge o di regolamento”, bensì quelle “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
[4] Ai sensi dell’art. 2 della Direttiva PIF, per “interessi finanziari dell’Unione” si intendono “tutte le entrate, le spese e i beni che sono coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù: i) del bilancio dell’Unione; ii) dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell’Unione istituiti in virtù dei trattati o dei bilanci da questi direttamente o indirettamente gestiti e controllati”.
[5] La Relazione illustrativa al Decreto rileva, in relazione all’introduzione del reato di peculato all’interno del Decreto 231, che – presupponendo tale fattispecie che l’autore del reato sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio che abbia, per ragione di ufficio o servizio, il possesso o disponibilità della cosa o denaro e se ne appropri – la responsabilità ex Decreto 231 dell’ente potrà sussistere solo in caso di concorso esterno di un suo esponente nella condotta appropriativa posta in essere dal funzionario pubblico. La Relazione illustrativa riporta, inoltre, i seguenti esempi di condotte di peculato rilevanti ai fini 231: “può pensarsi al caso in cui il direttore generale di una società convinca un funzionario UE ad appropriarsi di fondi dell’Unione e ad investirli nella sua società, o ancora alle fattispecie di cd. “distrazione appropriativa”, ravvisate […] nel caso di utilizzo dei fondi pubblici per finalità del tutto estranee alla p.a. e con irreversibile fuoriuscita del denaro, in ipotesi destinato in parte al p.u., attraverso il pagamento di crediti inesistenti verso una società collusa, in parte a quest’ultima o al suo amministratore”.
[6] Si ricorda che l’art. 25-quinquiesdecies del Decreto 231, di recente introduzione, richiama, quali reati presupposto della responsabilità dell’ente, le fattispecie di cui agli artt. 2, 3, 8, 10 e 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ovverosia i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
[7] In particolare, come riporta la Relazione illustrativa al Decreto, la ragione dell’introduzione dei reati di contrabbando all’interno del Decreto 231 risiede nel fatto che i medesimi rientrano nella categoria delle fattispecie lesive degli interessi finanziari dell’Unione; ciò in quanto, “a seguito dell’istituzione di un’unione doganale comune a tutti gli Stati membri […] i dazi doganali rappresentano una risorsa propria dell’UE e come tali concorrono al finanziamento del bilancio eurounitario”.
[8] L’introduzione di tale reato renderà necessario, in particolare per tutte le società che intrattengono rapporti di fornitura di beni o servizi con la Pubblica Amministrazione, procedere alla mappatura dei relativi rischi, tenendo conto dell’interpretazione alquanto ampia che la giurisprudenza tende a conferire al fatto tipico della fattispecie: secondo l’insegnamento giurisprudenziale della Suprema Corte, infatti, “il delitto di frode nelle pubbliche forniture è ravvisabile non soltanto nella fraudolenta esecuzione di un contratto di somministrazione (art. 1559 c.c.), ma anche di un contratto di appalto (art. 1655 c.c.); l’art. 356 c.p., infatti, punisce tutte le frodi in danno della pubblica amministrazione, quali che siano gli schemi contrattuali in forza dei quali i fornitori sono tenuti a particolari prestazioni. La condotta materiale punibile, ai sensi dell’art. 356 c.p., consiste in una qualunque inesecuzione, imperfezione, inadempienza posta in essere dolosamente dal reo nella pubblica fornitura; il reato si consuma, per quanto riguarda la prestazione di opere, già nel corso della loro esecuzione, bastando a concretarlo l’inadempimento doloso che, senza attingere alla gravità della prestazione di ‘aliud pro alio’, attenga alla quantità o alle qualità anche non essenziali della prestazione dovuta” (Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2019, n. 23231).
[9] Che rivestono particolare rilevanza soprattutto per quanto riguarda le società che effettuano attività di importazione e/o esportazione.