Finanziamento soci o versamento in conto capitale? Irrilevante la modalità di concreta iscrizione in bilancio. | May.18.2020
A cura di: Riccardo Troiano e Leonardo Sicco
Con la sentenza in rassegna la Corte di Cassazione entra nel dibattuto tema delle erogazioni dei soci a favore della società.
La questione ruota intorno alla non sempre chiara natura delle suddette erogazioni che, com’è noto, sono sovente mosse da ragioni ed interessi diversi, che ne rendono difficile la qualificazione in termini di erogazioni di credito ovvero di capitale di rischio.
Nel caso in commento, la Cassazione, oltre a ribadire i criteri di distinzione delle due forme di erogazione finanziaria dei soci, ha sancito definitvamente l’irrilevanza delle modalità di registrazione contabile delle stesse nelle scritture contabili della società, attraverso un approccio sostanziale.
La fattispecie oggetto della controversia concerne la pretesa di un socio (il “Socio”) di una società in accomandita semplice (la “Società”) di ottenere la restituzione delle plurime erogazioni effettuate nei confronti della Società e registrate contabilmente come “finanziamento soci”.
Il fulcro delle argomentazioni del Socio ruota intorno proprio alla forma con cui le erogazioni sono state registrate contabilmente.
Ad avviso dello stesso, infatti, le annotazioni contabili fatte valere ex art. 2709 c.c., avrebbero dovuto avere un valore confessorio e come tale decisivo per la corretta qualificazione dell’erogazione.
La questione oggetto della sentenza in commento è la seguente: quale sia la qualificazione dell’erogazione fatta dal socio a favore della società.
La risposta introduce alla definizione di due macro categorie.
“L'erogazione di somme dai soci alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato a confluire in apposita riserva "in conto capitale"; in quest'ultimo caso non nasce un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale “residual claimant” - (massima ufficiale).
Tale definizione ha un fondamentale rilievo pratico in quanto:
La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso proposto dal Socio, ha ritenuto del tutto fondate le argomentazioni dei giudici della Corte d’Appello che, per stabilire se le erogazioni effettuate nei confronti della Società potessero essere ascritte all’una o all’altra delle suddette categorie, hanno operato una valutazione del contesto nel quale le erogazioni erano state effettuate.
Infatti:
La Cassazione ha così chiarito che la chiave ermeneutica nella valutazione della natura giuridica delle erogazioni dei soci, rimane l’esame della volontà delle parti e non la denominazione dell’erogazione così come registrata nelle scritture contabili della società.
Invero, la Cassazione ha ritenuto di dover svalutare tale mero dato contabile - ritenuto correlato in questo caso ad opportunità di carattere fiscale - per poter dare rilievo, nel dettaglio, allo scopo concreto delle singole erogazioni.
E’ infatti proprio questo l’elemento che, ad avviso della suprema Corte, dovrebbe guidare i giudici nella valutazione della determinazione giuridica delle erogazioni in esame, con tutte le conseguenze che da essa discendono.
Pertanto, la Corte di Cassazione, ha concluso sostenendo che per valutare la riconducibilità dell’erogazione di un socio al capitale di rischio ovvero a quello di debito, non basta una disamina superficiale e nominale dell’erogazione stessa, ma occorre approfondire il contesto in cui la somma di denaro viene versata e lo scopo concreto al quale la stessa è destinata.